Il vecchio zio ha in garage un’ Alfetta.
Bella, quella macchina: elegante, veloce, scattante, incuteva -ai bei tempi- anche un certo rispetto, quello
tipico della gloriosa tradizione Alfa Romeo, un mito consolidato dal dopoguerra
in poi, fino alla (s)vendita al Gruppo. Non può, né vuole cambiarla:
probabilmente non saprebbe neppure guidarne un’altra. E poi, per andare in
vacanza in Trentino….Ma, sulle strade di montagna, specie su quelle che nessuno
ha mai pensato di ammodernare, una manovra sbagliata, e si esce di strada: e,
se la strada bordeggia un dirupo, la fine è tragica.
Non è una profezia da
disfattisti, ma la realtà solida. A chi giova una manovra fatta a bordo di un
veicolo vecchio, alla guida uno zio un po’ svampito, ma soprattutto senza
servosterzo e servofreno,? Dispositivi obsoleti anche questi, sostituiti da
ESP, ABS ed altri congegni di ultima generazione, di serie su quasi tutti i
veicoli, specie quelli tedeschi e francesi. Sulle vetture italiane è stato
installato invece il sistema BCE: non si sa ancora se e come funziona, alcuni
sostengono che sia solo uno specchietto per allodole per indirizzare il mercato.
Non si è capito bene a che serve, a chi serve e a quale sicurezza ultima
vagheggi: però, senza questo a bordo, le multe sono salatissime.
Da un rapido esame con “il cuore
grondante sangue” appare evidente che la
vettura perda liquidi, ed anche il più
sprovveduto meccanico, nella peggiore officina, può diagnosticare come questi
liquidi fuoriescano dal motore logorato. Ed anche se gli interni reggono bene
il peso del tempo, anche gomme, sospensioni ed impianto elettrico mostrano la
corda. Nella concessionaria, quella dove si era obbligati al tagliando, il
capoofficina aveva sentenziato pochissimi mesi fa che era tutto a posto, che
quella Alfetta era uscita prima e meglio di altre macchine dalla revisione, e
che non “avrebbe mai messo le mani nelle tasche” dello zio. Il meccanico di
fronte a casa del vecchio zio diceva che non era vero, che quella macchina era
da sottoporre a costose riparazioni, le quali avrebbero comportato un notevole
esborso di denaro. Ma lo zio, povero sempliciotto, aveva eletto la
concessionaria come proprio luogo fidato per la cura dell’auto. Poco importava
se, in quella officina, ci lavorassero meccanici scartati da altre officine, se
l’elettrauto fino al giorno prima aveva una bancarella al mercato rionale, l’addetto
ai freni vendeva souvenir nella sua città d’origine, il motorista passava le
giornate a pescare siluri nel Po, o il gommista non distingueva un quadro da un
tondo; o se il cassiere faceva di conto sulle dita. Ed in tanti, semplici e sempliciotti, disdegnavano
la piccola officina per lasciare pacchi di denari alla megaofficina
autorizzata, tutta luci e lustrini. Soprattutto lavoratori dipendenti e
pensionati: in fin dei conti gli stessi circoli aziendali, ed alcune
associazioni, avevano propagandato come “efficaci” certe convenzioni, solo in
apparenza convenientissime. Poco importava se il capofficina facesse la cresta
sui pezzi di ricambio per andarsi a mangiare il profitto con le donnine: l’importante
era che mettesse il bollino della avvenuta revisione sul libretto di
circolazione. Anche se un timbro non garantisce contro le manovre pericolose a
bordo di una vettura sprovvista persino
delle cinture di sicurezza.
Certo, magari il capofficina sarà
rimosso quando i clienti si renderanno conto di essere stati ingannati per
anni, ma il rischio è che si lascino commuovere dal lamentìo di un altro
profeta che avanzerà la proposta di buttare anche il motore, ritenendolo
inutile e superfluo. Le conseguenze le lascio solo immaginare, a chi di automobili
se ne intende davvero. Buona giornata e buon viaggio, zio!
Ah, dimenticavo: non credo che
serva a tanto mettere sul cruscotto quelle immagini votive di santi e madonne,
anche se le hai pagate care. E l’aglio, dammi retta, è più utile con spaghetti,
olio e peperoncino…
1 commento:
Caro Massimo, ciò di cui abbiamo più necessità ora è di una vecchia sana bicicletta.
Via Abs, via Esp, via Bce.
E' probabile che, a forza di usare solo i piedi di freno e acceleratore, avremo il fiatone alle prime pedalate, e dolori al culo e ai polpacci.
Ma, con calma e pazienza, sono convinta che ce la possiamo fare.
A una condizione: sgombrare la strada da catorci e vecchi arnesi che rischiano di farci bucare le gomme ogni due per tre.
Insomma, non ho paura della fatica e come metafora della vita mi piace più l'idea di una anarchica bici che quella di una stronza Ferrari per avere la quale dovrei pagare mutui che mi costringerebbero a una vita di straordinari.
Mai fare il passo più lungo della gamba, dicevano le nostre sagge vecchie nonne.
Ovvio, che dei cocainomani pokeristi che giocano a credito con i soldi degli altri, se ne fottano di questa semplice saggezza.
Ma noi bikers siamo di più, li possiamo mandare fuori strada. Volendo.
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