venerdì 9 settembre 2011

"La macchina del capo.."


Il vecchio zio ha in garage un’ Alfetta. 
Bella, quella macchina: elegante, veloce, scattante, incuteva  -ai bei tempi- anche un certo rispetto, quello tipico della gloriosa tradizione Alfa Romeo, un mito consolidato dal dopoguerra in poi, fino alla (s)vendita al Gruppo. Non può, né vuole cambiarla: probabilmente non saprebbe neppure guidarne un’altra. E poi, per andare in vacanza in Trentino….Ma, sulle strade di montagna, specie su quelle che nessuno ha mai pensato di ammodernare, una manovra sbagliata, e si esce di strada: e, se la strada bordeggia un dirupo, la fine è tragica.
Non è una profezia da disfattisti, ma la realtà solida. A chi giova una manovra fatta a bordo di un veicolo vecchio, alla guida uno zio un po’ svampito, ma soprattutto senza servosterzo e servofreno,? Dispositivi obsoleti anche questi, sostituiti da ESP, ABS ed altri congegni di ultima generazione, di serie su quasi tutti i veicoli, specie quelli tedeschi e francesi. Sulle vetture italiane è stato installato invece il sistema BCE: non si sa ancora se e come funziona, alcuni sostengono che sia solo uno specchietto per allodole per indirizzare il mercato. Non si è capito bene a che serve, a chi serve e a quale sicurezza ultima vagheggi: però, senza questo a bordo, le multe sono salatissime.
Da un rapido esame con “il cuore grondante sangue”  appare evidente che la vettura perda liquidi,  ed anche il più sprovveduto meccanico, nella peggiore officina, può diagnosticare come questi liquidi fuoriescano dal motore logorato. Ed anche se gli interni reggono bene il peso del tempo, anche gomme, sospensioni ed impianto elettrico mostrano la corda. Nella concessionaria, quella dove si era obbligati al tagliando, il capoofficina aveva sentenziato pochissimi mesi fa che era tutto a posto, che quella Alfetta era uscita prima e meglio di altre macchine dalla revisione, e che non “avrebbe mai messo le mani nelle tasche” dello zio. Il meccanico di fronte a casa del vecchio zio diceva che non era vero, che quella macchina era da sottoporre a costose riparazioni, le quali avrebbero comportato un notevole esborso di denaro. Ma lo zio, povero sempliciotto, aveva eletto la concessionaria come proprio luogo fidato per la cura dell’auto. Poco importava se, in quella officina, ci lavorassero meccanici scartati da altre officine, se l’elettrauto fino al giorno prima aveva una bancarella al mercato rionale, l’addetto ai freni vendeva souvenir nella sua città d’origine, il motorista passava le giornate a pescare siluri nel Po, o il gommista non distingueva un quadro da un tondo; o se il cassiere faceva di conto sulle dita. Ed in  tanti, semplici e sempliciotti, disdegnavano la piccola officina per lasciare pacchi di denari alla megaofficina autorizzata, tutta luci e lustrini. Soprattutto lavoratori dipendenti e pensionati: in fin dei conti gli stessi circoli aziendali, ed alcune associazioni, avevano propagandato come “efficaci” certe convenzioni, solo in apparenza convenientissime. Poco importava se il capofficina facesse la cresta sui pezzi di ricambio per andarsi a mangiare il profitto con le donnine: l’importante era che mettesse il bollino della avvenuta revisione sul libretto di circolazione. Anche se un timbro non garantisce contro le manovre pericolose a bordo di una vettura sprovvista persino  delle cinture di sicurezza.
Certo, magari il capofficina sarà rimosso quando i clienti si renderanno conto di essere stati ingannati per anni, ma il rischio è che si lascino commuovere dal lamentìo di un altro profeta che avanzerà la proposta di buttare anche il motore, ritenendolo inutile e superfluo. Le conseguenze le lascio solo immaginare, a chi di automobili se ne intende davvero. Buona giornata e buon viaggio, zio!
Ah, dimenticavo: non credo che serva a tanto mettere sul cruscotto quelle immagini votive di santi e madonne, anche se le hai pagate care. E l’aglio, dammi retta, è più utile con spaghetti, olio e peperoncino…

1 commento:

rossana ha detto...

Caro Massimo, ciò di cui abbiamo più necessità ora è di una vecchia sana bicicletta.
Via Abs, via Esp, via Bce.
E' probabile che, a forza di usare solo i piedi di freno e acceleratore, avremo il fiatone alle prime pedalate, e dolori al culo e ai polpacci.
Ma, con calma e pazienza, sono convinta che ce la possiamo fare.
A una condizione: sgombrare la strada da catorci e vecchi arnesi che rischiano di farci bucare le gomme ogni due per tre.
Insomma, non ho paura della fatica e come metafora della vita mi piace più l'idea di una anarchica bici che quella di una stronza Ferrari per avere la quale dovrei pagare mutui che mi costringerebbero a una vita di straordinari.
Mai fare il passo più lungo della gamba, dicevano le nostre sagge vecchie nonne.
Ovvio, che dei cocainomani pokeristi che giocano a credito con i soldi degli altri, se ne fottano di questa semplice saggezza.
Ma noi bikers siamo di più, li possiamo mandare fuori strada. Volendo.