lunedì 7 novembre 2011

lunedì 26 settembre 2011

Altro che gossip, quelle intercettazioni descrivono il sistema di potere in Italia



Altro che gossip, quelle intercettazioni descrivono il sistema di potere in Italia

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In questa intervista di Terry De Nicolò (vedi video sotto), una delle predilette di Giampaolo Tarantini, una delle poche escort bipartisan, c'è tutto quello che serve per capire i nostri tempi. 

Prima di guardarla, voglio fare una premessa. Racchiudere le intercettazioni e le interviste di questi giorni all'interno della categoria del gossip è pericoloso perché è un'interpretazione riduttiva e superficiale. Resta gossip se ci si ferma ai dettagli sull'altezza del Premier, sulle prestazioni vere e presunte, sui commenti personali, che non aggiungono nulla né alle indagini né all'analisi. Compito dei giornalisti è andare oltre, raccontare i modelli sociali, culturali, le cause e gli effetti di queste dichiarazioni. È facile vendere i giornali con questo genere di notizie, che interessano tutti e indistintamente: è molto più difficile evitare che queste notizie passino inosservate, magari inoculando valori e modelli a un pubblico che ha un livello di autodifesa molto limitato ("sto leggendo intercettazioni, mica questi vogliono cambiare il mio modo di pensare", penserà qualcuno). 

In questi giorni stiamo assistendo alla istituzionalizzazione di un'egemonia culturale (o sottoculturale, citando Panarari) basata su pochi punti che descrivono il sistema di potere italiano dei nostri tempi. Anche se ci piacerebbe pensarlo, questi punti non fanno parte solamente di una dinamica interna a Palazzo Grazioli, ma sono un modo (trasversale: la De Nicolò ha offerto i suoi servizi a destra e a sinistra) di intendere le cose. 

Terry De Nicolò, nel suo (non si sa quanto volontario) trattato di antropologia consegnato aL'Ultima Parola, Rai2, Gianluigi Paragone, leghista di osservanza berlusconiana, descrive l'Italia con cinque immagini chiarissime e, temo, non del tutto minoritarie. 

a. Per raggiungere il successo vale tutto 

Chi era Giampaolo Tarantini? Un imprenditore di grande successo secondo Terry de Nicolò. E poco importa che ora sia in carcere, con la moglie agli arresti domiciliari, con debiti un po' dovunque, l'immagine pubblica compromessa. Doveva usare Berlusconi, è stato usato. Ma alla De Nicolò non importa, ha vissuto giorni da leone mentre gli altri vivranno anni da pecora. La metafora mussoliniana, buttata lì come se fosse una frase fatta, è in realtà il perno di tutto il ragionamento. Chi è forte vince, chi è debole resta a casa. Chi vuole guadagnare deve vendere sua madre. Chi non lo fa resta povero. Poco importa che le regole del gioco siano interpretate in modo diverso dai leoni e dalle pecore. Prima traslazione: si passa dal confronto tra chi rispetta le regole e chi non le rispetta, alla sfida tra forte e debole. Dove chi fa cose illegali diventa forte ed è dunque socialmente legittimato. 

b. Chi è onesto e critica il disonesto è solo invidioso

Seconda traslazione, classica: si sposta il problema dall'argomento alla persona, dal comportamento al sentimento. Chi 'non ce l'ha fatta', a sentire l'intervista, non ha diritto di parola perché l'unico sentimento che muove le loro parole non è il desiderio che la legge sia uguale per tutti, ma solamente di sostituirsi a Tarantini (o Berlusconi). E non vi azzardate a dire che Berlusconi si pagava le compagnie: c'è la gente che fa la coda per stare con lui. 

c. Gli onesti non hanno nessuna possibilità di 'vincere'

Le tangenti sono sempre esistite. Che siano donne o mazzette, poco importa. E sono uno strumento indispensabile. Chi vuole guadagnare deve 'rischiare il culo'. Anche qui, traslazione di un concetto: dal merito al caso, dal lavoro alla fortuna, dal metodo alla scorciatoia. È il mercato che impone questo comportamento, bisogna passare 'sui cadaveri' per salire e avere successo. La cooperazione, il senso di comunità, il senso dello Stato, sono cose da sfigati. 

d. La donna, per avere successo, si deve vendere

Le donne (tutte, ad ascoltare la De Nicolò) corrono per andare da Berlusconi e devono avere il diritto di potersi vendere, perché la bellezza ha un valore. E il valore della bellezza è pari al talento nella medicina, alla competenza professionale. È l'ennesima prova che l'antropologia berlusconiana ha raggiunto il suo obiettivo e non solo tra i suoi elettori: abbiamo trasformato ogni cosa in un oggetto che si può comprare e vendere. Dall'etica al voto in Parlamento, dal calciatore del Milan alla compagnia di donne altrimenti inarrivabili, tutto si può avere perché tutto si può pagare. E chi 'rompe i coglioni', cioè le donne che non accettano questo meccanismo, deve 'restare a casa'. Insomma, chi non si prostituisce fa male. E chi va in giro con una 'pezza da 100 euro', non è presentabile: per andare a Palazzo Grazioli devi indossare almeno capi per almeno duemila euro. Se si alza l'asticella a questo modo, le mitiche buste del ragionier Spinelli non appaiono più cifre irragionevoli, ma coerenti con lo stile di vita di tutti gli ospiti, con annesso tentativo di depotenziare l'accusa di sfruttamento della prostituzione che è mossa da diverse Procure, per diversi indagati e con diverse prove e intercettazioni a testimoniarlo. Quarta traslazione: si passa dall'acquisto al regalo, dalla prestazione al favore, dalla prostituzione al rapporto consensuale. 

e. Chi la pensa diversamente è comunista, cattolico o sfigato

La De Nicolò si incazza perché chi la pensa diversamente da lei è un 'moralista'. La sinistra vuole far guadagnare tutti allo stesso modo (dice 2000 euro al mese, mostrando un evidente distacco dalla realtà), tutti devono avere gli stessi diritti: "no, no, no!". Ma la mazzata è più dura quando si usano le categorie dell'antropologia berlusconiana, e non solo la politica, per attaccare l'attuale opposizione: non solo quelli di sinistra sono culturalmente uguali a destra quando si tratta di gestire il potere, ma nel campo del rapporto tra sesso e potere riescono, in ogni caso, a fare peggio. Ultima traslazione: dalla lotta politica alla lotta della prostituzione, dalle differenze culturali a quelle sessuali. 

Il volto dell'egemonia berlusconiana è perfetto: una buona parte di elettorato, colto e di sinistra, non va oltre il 'puttana', e lascia cadere quelle frasi che, al massimo, sembrano provocazioni. Chi ha già qualche batterio dell'egemonia all'interno del sistema sanguigno, e probabilmente già vota Berlusconi, si fa sedurre da una prostituta non colta, apparentemente a portata di mano, seducente perché 'cattiva' . Si sente così autorizzato a diffondere questa egemonia auto-assolvente e a combattere contro l'altra parte d'Italia provando a sdoganare l'illegalità, la furbizia, il ruolo squalificato della donna. 

E a differenza di Gramsci o dello stesso Berlusconi, la De Nicolò parla all'Italia intera. Per questo dobbiamo provare a mettere in campo cinque regole d'ingaggio nella lettura delle intercettazioni di questi giorni: 

1. Ignorare le abitudini sessuali di Berlusconi: non importa come fa sesso, importano le conseguenze delle sue azioni; 

2. Non ignorare, invece, l'assenza di coerenza tra i suoi comportamenti privati e i suoi comportamenti politici: non si può fare la battaglia culturale sul crocifisso per poi usarlo tra le tette della Minetti; 

3. Mettere al centro il rapporto causa-effetto: la donna che si è prostituita ha avuto favori professionali, magari in organizzazioni pubbliche? E l'uomo che ha portato le prostitute a Berlusconi ha ottenuto appalti, consulenze, contratti, senza regolare verifica delle competenze? 

4. Evitare di fare il tifo per qualcuno e aspettare la fine delle indagini: la Arcuri è passata in 36 ore da santa a 'una delle tante': non c'è modo migliore per far passare l'opinione pubblica come un branco di forcaioli celebrolesi;

5. Chiedere, ogni giorno, al centrosinistra di mettere alla porta chiunque utilizzi i metodi dell'egemonia culturale berlusconiana per le proprie rendite di potere.

Dino Amenduni
@valigia blu - riproduzione consigliata

venerdì 9 settembre 2011

"La macchina del capo.."


Il vecchio zio ha in garage un’ Alfetta. 
Bella, quella macchina: elegante, veloce, scattante, incuteva  -ai bei tempi- anche un certo rispetto, quello tipico della gloriosa tradizione Alfa Romeo, un mito consolidato dal dopoguerra in poi, fino alla (s)vendita al Gruppo. Non può, né vuole cambiarla: probabilmente non saprebbe neppure guidarne un’altra. E poi, per andare in vacanza in Trentino….Ma, sulle strade di montagna, specie su quelle che nessuno ha mai pensato di ammodernare, una manovra sbagliata, e si esce di strada: e, se la strada bordeggia un dirupo, la fine è tragica.
Non è una profezia da disfattisti, ma la realtà solida. A chi giova una manovra fatta a bordo di un veicolo vecchio, alla guida uno zio un po’ svampito, ma soprattutto senza servosterzo e servofreno,? Dispositivi obsoleti anche questi, sostituiti da ESP, ABS ed altri congegni di ultima generazione, di serie su quasi tutti i veicoli, specie quelli tedeschi e francesi. Sulle vetture italiane è stato installato invece il sistema BCE: non si sa ancora se e come funziona, alcuni sostengono che sia solo uno specchietto per allodole per indirizzare il mercato. Non si è capito bene a che serve, a chi serve e a quale sicurezza ultima vagheggi: però, senza questo a bordo, le multe sono salatissime.
Da un rapido esame con “il cuore grondante sangue”  appare evidente che la vettura perda liquidi,  ed anche il più sprovveduto meccanico, nella peggiore officina, può diagnosticare come questi liquidi fuoriescano dal motore logorato. Ed anche se gli interni reggono bene il peso del tempo, anche gomme, sospensioni ed impianto elettrico mostrano la corda. Nella concessionaria, quella dove si era obbligati al tagliando, il capoofficina aveva sentenziato pochissimi mesi fa che era tutto a posto, che quella Alfetta era uscita prima e meglio di altre macchine dalla revisione, e che non “avrebbe mai messo le mani nelle tasche” dello zio. Il meccanico di fronte a casa del vecchio zio diceva che non era vero, che quella macchina era da sottoporre a costose riparazioni, le quali avrebbero comportato un notevole esborso di denaro. Ma lo zio, povero sempliciotto, aveva eletto la concessionaria come proprio luogo fidato per la cura dell’auto. Poco importava se, in quella officina, ci lavorassero meccanici scartati da altre officine, se l’elettrauto fino al giorno prima aveva una bancarella al mercato rionale, l’addetto ai freni vendeva souvenir nella sua città d’origine, il motorista passava le giornate a pescare siluri nel Po, o il gommista non distingueva un quadro da un tondo; o se il cassiere faceva di conto sulle dita. Ed in  tanti, semplici e sempliciotti, disdegnavano la piccola officina per lasciare pacchi di denari alla megaofficina autorizzata, tutta luci e lustrini. Soprattutto lavoratori dipendenti e pensionati: in fin dei conti gli stessi circoli aziendali, ed alcune associazioni, avevano propagandato come “efficaci” certe convenzioni, solo in apparenza convenientissime. Poco importava se il capofficina facesse la cresta sui pezzi di ricambio per andarsi a mangiare il profitto con le donnine: l’importante era che mettesse il bollino della avvenuta revisione sul libretto di circolazione. Anche se un timbro non garantisce contro le manovre pericolose a bordo di una vettura sprovvista persino  delle cinture di sicurezza.
Certo, magari il capofficina sarà rimosso quando i clienti si renderanno conto di essere stati ingannati per anni, ma il rischio è che si lascino commuovere dal lamentìo di un altro profeta che avanzerà la proposta di buttare anche il motore, ritenendolo inutile e superfluo. Le conseguenze le lascio solo immaginare, a chi di automobili se ne intende davvero. Buona giornata e buon viaggio, zio!
Ah, dimenticavo: non credo che serva a tanto mettere sul cruscotto quelle immagini votive di santi e madonne, anche se le hai pagate care. E l’aglio, dammi retta, è più utile con spaghetti, olio e peperoncino…

mercoledì 31 agosto 2011

Contromanovra

E va bene, lo Stato ha bisogno di soldi. Allora, modestamente, orizzontalmente, responsabilmente, ecco un po' di suggerimenti.


Lunedi

Aumento dell'IVA su tutti i generi di lusso: su richiesta della Lega, aliquota del 38% sui libri [chi li compra per leggerli sottrae tempo al lavoro], del 50% sulle opere del gruppo Editoriale "L'Espresso", ed un contributo una tantum di 1.500€ per chi detiene la parabola di Sky

Martedi

Il ministro Sacconi inserisce l'aumento della tassazione sulle elemosine ai poveri: il ministro Galan invece impone un contributo straordinario di 100€ a chi dà il becchime ai piccioni di Piazza san Marco. Vengono altresi abolite le pensioni alle vedove di guerra ("dato che non esistono le pensioni per le vedove delle missioni di pace, non vedo perchè mantenere questo previlegio", ha affermato il ministro La Russa) .

Mercoledì

Viene inserita una norma fiscale, secondo la quale tutti quelli che, a seguito di sentenza di tribunale, abbiano dovuto versare somme non inferiori ai 560 milioni di € a titolo risarcimento civile a cittadini italosvizzeri, siano esentati dal pagamento dell'Irpef per i prossimi centocinquant'anni, con la possibilità di estendere il beneficio ai discendenti. Cicchitto (PDL) nega che possa trattarsi di norma ad personam.

Giovedi

Il ministro Brunetta propone di chiudere gli uffici pubblici un giorno a settimana, e di conseguenza sospendere il pagamento delle retribuzioni per quei giorni di chiusura. Favorevoli Bonanni (Cisl) ed Angeletti (UIL)

Venerdi

Emendamento della Lega: raddoppiare l'IVA sulle vetture del gruppo Fiat costruite a Pomigliano e Termini Imerese, in quanto "costruite dai terroni": viceversa, dimezzarla per quelle costruite in Padania, in quanto "l'operaio padano è più bello, sano, istruito e laborioso". Ipotesi che non trova riscontro negli alleati: la sottosegretaria Santanchè abolirebbe tout court la Fiat, in quanto "le macchine del gruppo sono brutte".

Sabato

E' la volta della reintroduzione dell'ICI su orfanatrofi, cliniche oncologiche ed associazioni di volntariato non ecclesiastiche. Superbollo di 50€ per qualunque spesa nei supermercati ed ipermercati della Coop.

Domenica

Persino Iddio si riposò, ma i nostri infaticabili ministri ne sanno una più del diavolo: ecco Gelmini con la sospensione dello stipendio degli insegnanti nei mesi estivi, durante i quali le scuole non fanno lezione.





martedì 28 giugno 2011

“E’ questa la vita reale? E’ solo fantasia questa? Intrappolato in una frana, non c’è scampo dalla realtà. Apri gli occhi, guarda in alto il cielo e vedrai: sono solo un povero ragazzo, non mi serve compassione perché sono una veloce apparizione un po’ su, un po’ giù; comunque soffi il vento, a me non importa molto, a me. Madre, ho appena ucciso un uomo, gli ho puntato la pistola sulla testa,  premuto il grilletto, ora è morto. Mamma, la vita era appena iniziata, ma ora sono andato e l’ho buttata via, mamma, uuu, non intendevo farti piangere: se domani a quest’ora non sono tornato vai avanti, vai avanti come niente fosse. Troppo tardi, è arrivato il mio momento, mi fa rabbrividire fin nella spina dorsale, il corpo mi duole per tutto il tempo. Ciao a tutti, devo andare, devo lasciarvi e affrontare la verità (…)Non voglio morire, a volte vorrei non essere mai nato. Vedo la piccola sagoma di un uomo, Scaramouche, Scaramouche, vuoi ballare il Fandango? Tuoni e saette, che paura, Galileo, Galileo, Galileo, Galileo, Galileo, Figaro – Magnifico.
“Ma sono solo un povero ragazzo e nessuno mi ama”“E’ solo un povero ragazzo di famiglia povera, risparmiategli la vita da questa mostruosità” “Non me ne importa, volete lasciarmi andare?” “Bismillah*! No, non ti lasceremo andare – lasciatelo andare” (…) “Mamma mia, mamma mia – mamma mia lasciami andare, Belzebù ha messo da parte un diavolo per me, per me, per me. Così pensate di potermi lapidare e sputarmi in faccia, così pensi di potermi amare e lasciare morire, oh baby – non puoi farmi questo, baby, devo solo uscire – devo solo uscire da questo posto. Niente è davvero importante,chiunque può capirlo, niente è davvero importante, niente m’importa davvero, comunque soffi il vento”
*nel nome di Allah misericordioso.

[Bohemian Rhapsody – Queen]


La Londra di metà anni ’70 era, musicalmente, una città strana: smarrita per sempre la rivoluzione beatlesiana, guardinga e diffidente verso quei gruppi come Stones o The Who, “americanizzati” e quindi visti ormai “alla frutta”, la mania in arrivo era il “glam”. Che avesse le forme più raffinate di Bowie & derivati, o la veste più popolare di personaggi come Marc Bolan  [coi suoi T.Rex] o Gary Glitter,  si era adagiata nella quiete di un sound “pulitino”, artisti che colpivano prima l’occhio poi la fantasia, grandi canzoni da classifica e poco più. Non a caso il grande filone del rock romantico o la furia devastante di Led Zeppelin o Deep Purple avevano maggiori riscontri [e seguaci] fuori dall’Isola. In questo scenario, arrivano tre musicisti legati dalla passione per la musica [uno di loro rinuncerà anche ad una imminente laurea in astrofisica: ma questa è un’altra storia…], trovano sulla loro strada un personaggio carismatico e poetico, che darà loro il la per una sperimentazione musicale a tutto tondo, che cattura l'ascolto e il respiro di chiunque si avvicini. Il gruppo si chiama “The Queen”: aveva pubblicato già tre  album rockettari, con cose buone sparse qua e là, ma nulla che apparisse sopra la media.  La svolta è del 1975: un titolo preso a prestito da un vecchio film dei Fratelli Marx, "A Night at the Opera". Molto più che un disco "importante"; è un'esplorazione a tutto tondo della Musica, quella con la M maiuscola. E’ il capolavoro di un gruppo che a soli tre anni dalla sua nascita ha trovato quel delicato equilibrio alchemico che riesce a unire personalità artistiche molto diverse ed allo stesso tempo complementari. Disco dominato dalla schiacciante ispirazione di Freddie Mercury, qui al pieno delle sue possibilità espressive, che elabora le personalità dei compagni di viaggio grazie alle quali sperimentare le commistioni sonore più stravaganti. Il disco parte con un irrequieto assolo di pianoforte che accompagna il pensiero verso un crescente caos di sirene e aride note di chitarra; al culmine del suono, tutto si ferma e inizia la prima canzone, "Death on two legs", dedicata al precedente manager del gruppo. Canzone cattiva, acida in note e testo, batteria aggressiva e “sporca”, una chitarra che suona come un lamento.  “Mi succhi il sangue come una sanguisuga, infrangi la legge e predichi, mi opprimi il cervello finché fa male. Hai preso tutti i miei soldi e ne vuoi di più, vecchio mulo mal guidato con le tue regole cocciute, con i tuoi meschini amiconi che sono stupidi di prima categoria (…)Sei solo un vecchio venditore ambulante, hai trovato un nuovo giocattolo per sostituirmi? Mi puoi affrontare? Ma ora mi puoi baciare il culo, ciao ciao”.
Incredibile, poco più di un minuto, la successiva "Lazing on a Sunday afternoon": quasi un brano da operetta, compresa l’intonazione lirica di Mercury. Anche visivamente, l’idea era quella di giovani (neo)dandy a spasso nella campagna inglese in bici, magari con la t-shirt sotto la giacca… Poi, il simpatico sberleffo di  "I'm in love with my car", scritta e cantata da Taylor: il coro a sottolineare la voce del solista, un violino che gioca a fare la chitarra elettrica, e la chitarra suonata a mo’ di violino, rumori di motore che invadono tutta la canzone; "You're my best friend", dolce dichiarazione di amicizia che suona un po’ come certi singoli della Motown. E “39”, cui è legato un mio ricordo personale, di schitarrate e tamburelli in spiaggia tra amici, un tono country, l’ideale per fare un po’ gli scemi perdendosi (invano) negli occhi di una ragazza che, diciamo così, non si poneva proprio il problema.
Si ritorna al rock con "Sweet Lady", con le schitarrate iniziali, Freddie con una voce sempre corposa, ritmo non esagerato ma stuzzicante: decisamente da riscoprire (io all’epoca la saltavo, beata incoscienza…). Poi, il tuffo nel passato, ed è subito "Seaside Rendezvous": una canzone in bianco e nero, tra tip-tap. fischiatine,  Freddie che dal vivo si esibiva con la parrucca di riccioli biondi stile Shirley Temple. Divertimento allo stato puro, e non solo per la band. Ma la sperimentazione dei Queen non lascia spazio, ecco arrivare "The Prophet's Songs": gioiellino firmato da Brian May, otto minuti di tutto, dai cori gregoriani agli inni medievali, dal rock dilatato alla riflessione mistica, dal canto a cappella all’assolo acutissimo di Mercury.  Qualunque altra band, con gli spunti buttati in questa canzone, ci avrebbe fatto un intero album. Splendida quanto trascurata.
"Love of my Life" inizia. Chiudete gli occhi, ed aprite l’anima:  pianoforte morbosamente romantico, un testo che, tra le parole e (soprattutto) il modo in cui vengono cantate, ti sega a metà, un grido di amore disperato e rimpianto, una supplica come una carezza, note di chitarra come quei pensieri che ti arrivano all’improvviso addosso e ti fermi a sorridere senza un motivo, ma ti senti meglio.
Terz'ultima canzone del disco, "Good Company", classica canzone alla Brian May, carina, briosa il suo giusto,  da fischiettare in bici mentre torni a casa col pane caldo. Un attimo di relax prima del capolavoro assoluto della band, "Bohemian Rhapsody" . Di cui non parlerei:  ogni parola aggiunta sembra uno spreco, un oltraggio, come guardare la Pietà in San Pietro dietro la vetrata dopo le martellate del pazzo. Hard rock, lirica, canto popolare, tutto concentrato nei cinque minuti che sembrano cinquanta, la sensazione di attraversare,  come il protagonista della canzone, mondi e situazioni prima sconosciuti, carnefice e vittima di una schiera di diavoli affamati della sua anima.
Per chiudere, "God Save the Queen", versione particolare, e non a caso,  dell'inno nazionale Inglese, chiude il disco, come farà con tutti i concerti del gruppo. E ti lascia il dubbio addosso:  Freddie Mercury avrebbe voluto diventare un giorno, “da grande”,  Regina d’Inghilterra, od almeno dei suoi spiriti buoni?